Nella regione del Mzab algerino, Ghardaia è riconosciuta Patrimonio Unesco dal 1982, per il suo specifico paesaggio geografico e culturale. Definita da Le Corbusier “armonia naturale, architettura senza architetto” è un’originale realtà fatta di costruzioni, urbanistica e regole sociali tramandate nei secoli.
Solo accompagnati da una delle guide preparate, pazienti e orgogliose della propria storia, si riesce a penetrare nella unicità di Ghardaia, che non a caso è riconosciuta Patrimonio Unesco dalla 1982, per il suo specifico paesaggio geografico culturale.
Dalla valle del Mzab prendono il nome i Mozabiti, che appartengono dal punto di vista religioso all’islamismo Ibadita, una corrente particolarmente moderata dell’Islam, che cerca il ragionamento e non l’imposizione, come si nota nei comportamenti, nel sorriso, nell’accoglienza di questa popolazione.
Gli abitanti della valle, arrivati già verso il 1000 dalle alture del centro dell’Algeria, cominciarono a costruire le loro città dall’alto, contro le inondazioni, con una struttura a chiocciola, che consente di rispettare il diritto al sole e alla luce per tutti.
Osservando la città dall’alto di una collina si ha l’impressione di una corona di minareti che degradano armoniosamente verso il basso, nei cerchi concentrici delle case fino al palmeto in basso.
Studiata da tutti i grandi architetti, Ghardaia fu ammirata soprattutto da Le Corbusier, che negli anni ‘30 ‘40 la visitò, incantato dalla dolce armonia di queste strutture, dove la luce, che non ferisce gli occhi, cambia durante le ore del giorno, dal blu al bianco, all’arancio del tramonto.
Le case sono piccole, a misura di famiglia, aperte da rare e piccole finestre, affacciate su una corte centrale che dà luce e tutte dotate di una terrazza soleggiata, dove si passa di solito la sera bevendo il tè alla menta.
La visita di Ghardaia comincia dall’ampia piazza centrale con portici ad arcate, dove si affacciano le botteghe e da cui partono le vie del mercato, ombreggiate da teli. Ovunque frutta e verdura freschissime e profumate.
Nel dedalo di strade si aprono piazzuole ornate da palme da dattero. Ogni tanto appaiono, sfuggendo lo sguardo dei curiosi, a passo leggero e svolazzante le donne di Ghardaia, che colpiscono l’attenzione perché, coperte da un lungo mantello bianco, fanno intravedere un solo occhio aperto.
Dai 12 anni le ragazze si coprono il viso con il velo e una volta sposate possono mostrare un solo occhio sotto il velo bianco.
Oltre all’architettura Ghardaia é unica anche per l’organizzazione sociale della comunità, retta da consigli di persone e di Imam, che qui hanno solo potere religioso. Un saggio per ogni tribù governa la comunità secondo le regole tramandate da secoli: l’armonia regna anche a livello sociale, oltre che nella struttura urbanistica.
Ghardaia é la città più grande della valle, che ha dato il nome alla Pentapoli: città ricche perché snodi commerciali delle vie carovaniere.
A Beni Isguen il mausoleo elevato sopra una moschea parzialmente interrata, suggerì a Le Corbusier il modello per progettare la cappella di Ronchamp.
Al tramonto si può salire in cima alla torre che domina la città di El Atteuf, per un panorama spettacolare e rilassante: sotto di noi le case con le terrazze dipinte di blu per riflettere il cielo, la corona di minareti nella loro strana forma con quattro cuspidi, cielo azzurro, terra ocra e rosa. Dal 1982 l’Unesco protegge questa realtà urbanistica e sociale per conservare lo stile architettonico così coerente e compatto.
Gli Ibaditi sono molto orgogliosi dei loro valori preservati nei secoli: solidarietà, invito alla convivenza pacifica, forte senso di appartenenza, rispetto delle regole interne.
Questa grande attenzione al rispetto della tradizione serve soprattutto per impedire contaminazioni con gli stranieri.
Tutto nell’urbanistica è studiato perfettamente per rispondere alle regole sociali: ad esempio le strade che in alto permettono il passaggio solo delle persone o al massimo di un asino, in basso diventano più larghe per far passare i cammelli carichi fino al mercato, che solitamente è fuori del centro città, in modo che gli stranieri di passaggio non si mescolino con la comunità.
Consigli di viaggio: indispensabile il visto turistico da chiedere per tempo, rilasciato dall’ambasciata o dal consolato algerino in Italia.
Per il viaggio in Algeria, che di solito è scortato da due camionette di polizia, è consigliabile affidarsi a T.O specializzati.
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Contributi fotografici di Franca Dell’Arciprete