La Sardegna super gettonata, si sa, è quella delle coste. Una collana di perle una più preziosa dell’altra. Mondana, frastornante, effervescente per far contenti i continentali che hanno tanto bisogno di svago, di sole e di sale. Capita però che taluni dei vacanzieri si avventurino anche nell’interno, soprattutto se hanno un bel fuoristrada da mettere alla prova per tornanti e sterrate. Il raggio delle evoluzioni giornaliere spesso non va oltre i 50 km. Dell’interno, del cuore della regione/nazione, la Barbagia è la provincia capolista delle province storiche dai nomi strani come Ogliastra, Marmilla, Trexenta, Goceano. Nomi che paiono inventati per confondere e far fare brutta figura.
In Barbagia invece è tutta un’altra cosa.
Qui c’erano – fino agli anni ’70 – i banditi di triste memoria. Qualcuno si vede ancora in giro, i “ balentes” (l’equivalente dei “ bravi” manzoniani) che rispuntano nei racconti degli scrittori sardi ormai famosi dopo alcuni decenni di oblio e di rinnegamento corale della propria storia. Ovviamente il banditismo, come la transumanza delle greggi, non conosceva confini, ma la terra dei banditi nell’immaginario di noi continentali era e resta la Barbagia.
I paesi sono quelli di allora, le strade sono sicuramente più buone e più sicure, ma i tratturi, i sentieri dei carbonai, le grotte, i “pinnetos” dove ricoverarsi la notte sono tali e quali cinquanta, o cento e forse più anni fa. C’è di nuovo che dagli anni ’70 i paesi sono stati presi d’assalto da pittori veri e propri e da altri meno blasonati, e che dagli anni ‘2000 i luoghi più impervi sono diventati le mete più esclusive di chi della Sardegna ormai si considera intenditore. Vuoi mettere raccontare a Milano “sono stato a Tiscali”, piuttosto che “sono stato ad Arzachena”?
E allora raccontiamola Tiscali -Villaggio Nuragico-, visto che costa tanta fatica raggiungerla. Ci vuole mezza giornata per andare e tornare camminando come le capre, in salita tra le rocce. Può farlo anche un bambino per la verità, purché accompagnato e dal piede sicuro. Lo stesso dicasi per chi ha la maggiore età ma non ha una bussola o non è nato da quelle parti. Non si può dire che ci sia un sentiero, o se c’è non è quello che ci aspettiamo avendo un background di sentieri alpini, dolomitici. Ci vuole una guida del posto, uno come Massimiliano di Oliena è il massimo, perché sa tutto di ogni pietra, racconta e cammina adattando il passo a quello dei suoi visitatori, si ferma all’occorrenza e ti fa gustare l’intorno fin dove spazia la vista come fosse il giardino di casa sua. E così distillando la fatica e se fa caldo, e tra quelle pietre di caldo ne fa tanto d’estate – senza mai vedere la meta perché se fosse in vista non sarebbe stata scelta come sito di insediamento oltre due millenni fa, d’improvviso ci si ritrova all’imboccatura del villaggio nuragico Tiscali. Ci vogliono quasi due ore per coprire un dislivello di scarsi 400 mt, il che la dice lunga sulla rudezza del percorso.
E Tiscali che si disvela nel fresco della dolina cos’è dunque? Tutt’altra cosa rispetto ai nuraghi isolati, sparsi a migliaia nel resto dell’isola. Questo è ormai franato in una cavità della montagna che perciò ha creato una dolina, un ammasso di rocce frantumate che saranno state considerate una manna per costruire dei ripari. In pratica materiale edilizio già bell’e pronto in situ. Di abitazioni per gli uomini e ripari per gli animali, temporanei o duraturi che fossero, ce ne saranno state una settantina. Si vedono ancora bene i muri perimetrali e dunque le piante. Piccole abitazioni a pianta ovale per lo più, addossate alla roccia rimasta a far da schiena – e così si risparmiava di costruire metà delle pareti – una attaccata all’altra come pecore di un gregge. Non assomiglia ai siti archeologici classici Tiscali, così depredata dei manufatti che si sa per certo sono stati trovati nel villaggio, per cui potrebbe anche deludere. Occorre dunque calarsi, di proprio spirito, nell’era antica delle invasioni puniche (o romane, o queste e quelle)
per capire e apprezzare. ma occorre calarsi, di proprio spirito, nell’era antica delle invasioni puniche (o romane, o queste e quelle) per capire e apprezzare. A scendere si va più in fretta, ma bisogna fermarsi ad ammirare la vallata sotto, il fiume Cedrino, le contorsioni della vegetazione che vuole vivere nonostante la roccia.
Alla base dove si sarà lasciata la 4×4 la fatica ormai sarà stemperata e ci si potrà sedere a riflettere e a riprendersi alla sorgente Su Gologone ormai colonizzata da bancarelle e servizi di base al turista.
Nei pressi un albergo con ristorante di chiara fama, “Su Gologone” anch’esso
(Tel. 0039 0784 287512, gologone@tin.it), può essere la giusta ricompensa per la fatica fisica, se mai ce ne fosse bisogno.
Si può cercare però di prolungare la visita alla Barbagia restando a girovagare tra le pitture murali di Orgosolo, di Oliena, di Mamoiada e poi anche di Irgoli (più vicino a Orosei, dunque ormai verso la civiltà del mare) e leggere sui muri le storie pennellate da mani diverse e sicuramente anche età e formazioni artistiche diverse, ma accomunate dallo stesso spirito di testimonianza. Sono più belle le case di questi paesi, più aperte verso il mondo le genti di queste case, se è vero che si sono lasciati dipingere, “a scatola chiusa”. Avremmo questa disponibilità noi del continente, delle città complesse, dei comuni litigiosi, delle delibere necessarie anche per mettere la chiave nel buco della serratura di casa propria? O la Barbagia qui ci dà una bella lezione?
Per maggiori informazioni:
www.supramonte.it/supramonte.php; http://insidesardinia.blogspot.it/
Testo e foto di Ada Grilli